Sono circa cinquanta i ricorsi definiti dal
Garante privacy relativi a persone comuni,
figure pubbliche locali,
professionisti che si sono rivolti all'Autorità dopo il mancato accoglimento
delle richieste di deindicizzazione da parte di Google.
Un'altra decina di ricorsi sono in via di
definizione. E' il bilancio dell'attività del Garante a quasi un anno e mezzo
dalla cosiddetta sentenza "Google Spain" (C-131/12 ) della Corte di
Giustizia dell'Unione Europea sul diritto all'oblio, che ha imposto a Google di
dare un riscontro alle richieste di rimozione, dai risultati della ricerca, dei
link alle pagine web che contengono il nominativo del richiedente.
Di fronte al diniego di Google, gli utenti
italiani possono rivolgersi in "appello" al Garante per la privacy o
all'autorità giudiziaria. Una opportunità, quella del ricorso al Garante,
sfruttata finora solo da un esiguo numero di persone a fronte delle migliaia di
istanze rigettate dalla società di Mountain View.
In circa un terzo dei casi definiti, il
Garante ha accolto le richieste degli interessati ordinando a Google la
rimozione dei link a pagine presenti sul web che riportavano dati personali
ritenuti non più di interesse pubblico, informazioni spesso eccedenti, riferite
anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata, o lesive della sfera
privata. In tutti gli altri casi, invece, l'Autorità ha respinto le richieste
ritenendo che la posizione di Google fosse corretta, risultando prevalente
l'interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca.
Si trattava, infatti, in prevalenza, di
vicende processuali di sicuro interesse pubblico, anche a livello locale,
spesso recenti o per le quali non erano ancora stati esperiti tutti i gradi di
giudizio. I dati personali riportati, tra l'altro, risultavano trattati nel
rispetto del principio di essenzialità dell'informazione.
Newsletter del Garante per la protezione dei
dati personali n.
407 del 26 ottobre 2015
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