La sentenza del 26 novembre 2014 n. 25100 della Corte di Cassazione
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Sezione Quinta Tributaria ha confermato che le spese di sponsorizzazione sono
deducibili se inerenti, tuttavia spetta al contribuente fornire la prova dell’inerenza
all’attività economica dell’esborso.
La CTR della Lombardia, accogliendo il ricorso del contribuente, ha
riconosciuto la deducibilità di detti costi. Tuttavia, per la Cassazione Sezione
Tributaria, la decisione del giudice dell’appello sul punto non è convincente
poiché non inerente alla fattispecie riportata dal PVC, nel quale viene
evidenziata una prestazione pubblicitaria consistente nell’esibizione del
marchio della società su due auto partecipanti a un racing.
Si lamentava il disallineamento tra clienti del contribuente e la
generalità dei consumatori interessati alle corse automobilistiche di quel tipo
e l’operatività del contribuente in ristretto ambito geografico (Brescia e
Bergamo) a fronte di manifestazioni sportive effettuate fuori dai confini
italiani (Austria e Croazia, per esempio). Inoltre si contestava l’inidoneità
del logo usato, poiché non riportava l’indicazione di un recapito oppure di un
indirizzo telefonico collegato.
In merito alle riportate incongruenze è mancato il benché minimo commento
da parte della CTR; il che ha determinato non soltanto il vizio di motivazione
lamentato dall’Ufficio ricorrente, ma anche la non corretta applicazione del
principio per cui, “in tema di imposte dei redditi e sul valore aggiunto, la
deducibilità esige la previa dimostrazione, a carico del contribuente, del
requisito dell’inerenza, consistente non solo nella giustificazione della
congruità dei costi, rispetto ai ricavi o all’oggetto sociale, ma soprattutto
nell’allegazione delle potenziali utilità per la propria attività commerciale o
dei futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità svolta dall’impresa
in favore del terzo” (cfr. Cass. n. 24065/2001) ovvero “che i costi di
sponsorizzazione di un marchio sono deducibili anche da chi, pur non essendo
titolare del marchio, tragga comunque un’utilità dallo sfruttamento del segno
distintivo altrui, per il potenziale incremento della propria attività
commerciale” (cfr. Cass. n. 6548/2012).
Maria Delle Cave
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