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16 dicembre 2014

Licenziamenti: il datore può usare i dati dei dipendenti pubblicati on-line


Il datore di lavoro può utilizzare i dati che riguardano i suoi dipendenti
reperiti sui social network, anche grazie agli “amici degli amici” o ai contatti in comune.

In generale, i tribunali considerano pubblico tutto ciò che si posta sui social network e, pertanto, utilizzabile in giudizio, a esclusione delle chat private. A maggior ragione se il lavoratore effettua l’accesso durante l’orario di lavoro.

La privacy è violata solo se si compie una diffusione indebita, cioè per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, e si commette così il reato di trattamento illecito dei dati personali (articolo 167 del Dlgs 196/2003). Dal momento in cui si pubblicano informazioni e foto sul proprio profilo Facebook si accetta il rischio che possano essere portate a conoscenza di terze persone non rientranti nell’ambito delle “amicizie” accettate dall’utente, il che le rende utilizzabili anche in sede giudiziaria.

Anche il Garante della privacy (nota del 26 agosto 2010) e da ultimo, il tribunale di Milano, con l’ordinanza del 1° agosto scorso, ha deciso che è legittimo licenziare il dipendente che ha postato su Facebook fotografie scattate durante l’orario di lavoro, accompagnate da post offensivi nei confronti dell’azienda. Sembra crollare anche il principio secondo il quale ricade sul datore di lavoro l’onere di informare il dipendente sull’uso corretto dei social network in azienda. A prescindere dall’affissione del codice disciplinare, l’utilizzo improprio dei social network può essere in grado da solo di ledere il vincolo fiduciario con l’azienda e, quindi, di legittimare il licenziamento.

È accaduto nel caso del poliziotto che ha postato foto con abiti femminili (Consiglio di Stato, sentenza 848 del 21 febbraio 2014). In questi casi i giudici sono chiari: se la foto lede il decoro dell’amministrazione pubblica per la quale il dipendente lavora, il provvedimento disciplinare è motivato.


Maria Delle Cave

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