Dalla nullità del primo licenziamento discende la continuità
del rapporto
di lavoro e la possibilità, per il datore di lavoro, di rinnovare il proprio
atto di recesso. Lo ha stabilito la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza
n. 24525 di ieri, 18 novembre 2014.
Come è noto, la malattia rende giustificata l’assenza del lavoratore e fa
sorgere, in capo al datore di lavoro, il divieto di procedere al licenziamento
dello stesso durante l’evento morboso, nei limiti di un periodo di
conservazione del posto (il c.d. periodo di comporto), la cui durata è, in
genere, fissata dalla contrattazione collettiva.
Prima del termine del periodo di tollerabilità dell’assenza costituito dal
periodo di comporto, il datore di lavoro non può licenziare il dipendente in malattia,
se non per giusta causa ovvero per sopravvenuta impossibilità della prestazione
o cessazione totale dell’attività dell’impresa. Il superamento di tale periodo
è condizione sufficiente per la legittimità del recesso del datore di lavoro, senza
che questo debba essere motivato in altro modo.
Il caso esaminato dalla sentenza richiamata riguarda appunto l’evento di un
licenziamento dichiarato nullo, pertanto la Cassazione ha affermato
che il secondo licenziamento è intervenuto nella continuità del rapporto, non
interrotto da primo licenziamento nullo, e a seguito del superamento del
periodo di comporto determinato dal prolungamento dell’assenza per malattia del
lavoratore e, quindi, a seguito del realizzarsi della situazione autonomamente
giustificatrice, secondo la giurisprudenza, del recesso.
Maria Delle Cave
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