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10 agosto 2015

Vendite on line



La Guardia di finanza, in base alle comunicazioni della società Alfa s.a.r.l.
relative alla chiusura delle aste on line per le vendite effettuate dal contribuente S. Paolo tramite il canale informatico E-Bay, aveva accertato, per l’anno 2005, che il contribuente aveva effettuato vendite on line per il valore complessivo, soggetto ad IVA, di euro 24.297,00.

Con sentenza della C.t.p. per il Lazio, Roma, n. 434/V/2013 del 25 luglio 2013, veniva respinto il ricorso di S. Paolo (con compensazione delle spese), proposto avverso l’atto di accertamento di maggiore imponibile ai fini IRAP ed IVA per l’anno 2005 (accolto solo quanto all’accertamento ai fini IRPEF).

L’atto di accertamento aveva preso a base il valore complessivo accertato dalla Guardia di Finanza, soggetto ad IVA, di euro 24.297,00 e lo aveva diminuito del costo, calcolato forfettariamente nel 20%, determinando un imponibile per reddito di impresa di euro 19.942,00.

Con appello notificato all’Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Roma 1, e presso la Segreteria della C.t.p. che aveva emesso la sentenza poi impugnata, il contribuente Paolo S. chiedeva l’annullamento della sentenza.

Alla base del ricorso la mancanza di prova, in quanto i dati sui quali la Guardia di finanza e l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate avevano basato il calcolo del volume d’affari, sarebbero riferiti solo alla chiusura delle aste, elemento che di per sé non sarebbe sufficiente a dimostrare la vendita del bene, in assenza di alcuna indagine sui tipi di bene venduti, sull’effettivo pagamento del prezzo, sull’individuazione dei costi sostenuti, sui ricavi conseguiti e sull’esercizio - da parte del contribuente interessato - di una abituale attività d’impresa.

L’Ufficio si costituiva, rilevando che i dati forniti dalla società Alfa sarebbero stati elaborati dalla Guardia di finanza in modo da evidenziare, tra tutte le aste concluse, quelle presumibilmente non andate a buon fine (identificate con quelle nelle quali non si sarebbe indicato il miglior offerente) e decurtando dal prezzo di aggiudicazione delle aste il costo forfettario del 20%, al fine di determinare il reddito presuntivo e concludeva per il rigetto dell’appello, con condanna dell’appellante alla refusione delle spese di giudizio.

I Giudici della Commissione Tributaria Regionale di Roma hanno deciso che l’appello è infondato, poiché la normativa sull’imposizione fiscale trova applicazione anche in materia di transazioni effettuate tramite canali informatizzati, purché ne sussistano i presupposti dell’abitualità dell’attività imprenditoriale e della realizzazione di un volume d’affari (cfr. Cass. trib., sentenza n. 27211/2006).

L’accertamento di tali requisiti va effettuato con applicazione dell’ordinario regime probatorio previsto per l’imposizione tributaria, e, pertanto, in materia di omessa presentazione della dichiarazione fiscale, l’Ufficio deve fornire sufficiente prova, anche indiziaria, dei fatti giustificativi dell’imposizione ed il contribuente può contestare tali fatti sia nel procedimento, presentando osservazioni al p.v.c, sia in sede contenziosa, producendo prova contraria ai fatti accertati in quella sede.

In applicazione di tali criteri, i Giudici hanno ritenuto infondati tutti i motivi di appello, dato che:
1. non sussiste il lamentato difetto di motivazione della sentenza;
2. la documentazione agli atti dimostra la sussistenza dei presupposti d’imposta per IRAP ed IVA per l’anno 2005;
2.1. la mole delle transazioni proposte on line dimostra che l’attività di vendita era effettuata dal contribuente in maniera non saltuaria od occasionale, per esigenze di "cassa" (come nella fattispecie decisa da C.T.R. Novara, Sez. I, sent. n. 179/2012), bensì in maniera sistematica; non è tanto e solo l’ammontare in sé delle somme proposte in transazione, pur rilevante per il 2005 (euro 24.297,20), che indica l’abitualità dell’attività di vendita, ma anche la presenza di attività di vendita on line anche per tutti gli altri anni oggetto dell’accertamento (2004, e successivi fino al 2009, con importi diversi e anche notevolmente superiori);
2.2. come precisato dalla Corte di cassazione, "La nozione tributaristica dell’esercizio d’imprese commerciali non coincide con quella civilistica;
2.3.l’accertamento fiscale si basa su sufficienti elementi probatori, indicati compiutamente sia nel p.v.c, comunicato regolarmente al contribuente, sia nella motivazione dell’atto stesso.
Sostiene il ricorrente che la chiusura dell’asta non costituirebbe di per sé prova del buon fine della vendita, dovendo questo essere provato solo con la documentazione finanziaria, agevolmente disponibile in sede ispettiva dalla Guardia di finanza. Rileva il collegio che, nella fattispecie, l’accertamento non si è basato solo sul computo del valore delle aste chiuse, ma ha detratto da quello il valore delle aste nelle quali non era indicato il miglior offerente, che presumibilmente, pertanto, non sono state aggiudicate on line.

Per contestare tale percentuale, calcolata in via presuntiva dall’Ufficio, il contribuente nulla ha prodotto né in sede procedimentale né nel presente giudizio, limitandosi a contestare l’accertamento in punto di diritto ed invocando una non corretta interpretazione della regola dell’onere della prova.

Se, da un lato, è vero che l’organo ispettivo avrebbe potuto acquisire più compiuta documentazione bancaria a dimostrazione dei pagamenti, è però vero che il contribuente stesso è in grado di procurarsi la prova documentale a suo favore, potendo ottenere dalla società lo storno delle commissioni sulle vendite non andate a buon fine, e produrre pertanto, nelle dovute sedi, la relativa documentazione, come può anche produrre le fatture delle transazioni (allegandone, all’Ufficio o al giudice, anche solo la prima pagina, sempre al fine di proporre un principio di prova contraria a quanto accertato dall’Ufficio), o, in alternativa, dato che, come lui stesso afferma, tutti i pagamenti delle vendite on line si appoggiano su conti correnti, e dato che egli risulta essere dipendente di un istituto di credito privato e, quindi, titolare di reddito da lavoro, produrre estratto conto dal quale risultino i redditi derivatigli da tale attività, che risultano su tale conto evidentemente differenziati rispetto ai regolari accrediti della retribuzione, o estratto conto del diverso canale bancario sul quale egli abbia introitato il corrispettivo delle vendite che afferma effettivamente realizzate.

Viceversa, il contribuente non ha prodotto alcunché e neppure affermato quale sia il minor valore complessivo delle vendite effettivamente andate a buon fine. Atteso che non è certo plausibile che delle aste on line nessuna abbia raggiunto il suo scopo, e che il criterio di quantificazione del valore delle vendite utilizzato dall’Ufficio è congruo, come detto, al fine di costituire una prova almeno presuntiva, è sul contribuente che, nella fattispecie, grava l’onere di dimostrare l’assenza del presupposto d’imposta, cosa che egli non ha fatto, non fornendo nemmeno un’affermazione o un principio di prova atto a confutare la ragionevole presunzione dell’Ufficio procedente.

C.T. Reg. Roma 1.12.2014 n. 7194/1/14

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